È un dato di fatto che l’assetto socio-urbanistico del nostro Paese sia caratterizzato da una rete di Città Medie ed è ampiamente riconosciuto che esse rappresentano l’ossatura sociale e produttiva dell’Italia, che ci ha permesso in passato di entrare nel novero dei paesi più industrializzati, e si collocano al centro del “sistema Paese” poiché riescono a generare uno straordinario patrimonio di innovazione e qualità della vita, facendo leva sulla rigenerazione urbana e ambientale.
Nell’era della pandemia è inoltre evidente la crescita del ruolo delle Città Medie quale dimensione territoriale che “esprime una tensione puntuale a vivere bene (…dove…) si cerca e si attua uno stile di vita che (…) persegue una quotidiana vivibilità dei residenti”, come ha detto di recente il presidente di Censis Giuseppe De Rita aggiungendo che “L’Italia può proporsi in ambito europeo con un nuovo paradigma di sviluppo sostenibile fondato sulla sua articolata rete di città medie diffuse sul territorio nazionale”.
È dal contributo che la Città Media può dare allo sviluppo urbano sostenibile e innovativo che può essere rilanciato un modello che ponga l’uomo (e non l’individuo) al centro per ricostruire territori più sani e puliti, più solidali e sicuri, più connessi e sinergici. In una parola: più produttivi di “ecologia” e di “innovazione” nel senso ampio delle transizioni che ci prepariamo a compiere in tutta Europa.
È opportuno però definire la Città Medieperché solo così riusciremo a individuare strumenti e azioni capaci di valorizzare ed esprimere a pieno tale potenziale e dare impulso alla crescita.
In realtà molti studi, di livello nazionale e internazionale, hanno contribuito a definire la Città Media, senza tuttavia convergere su una accezione univoca. E alcune classificazioni ufficiali sono state apprestate. Abbiamo la classificazione delle 105 Città Medie di ISTAT che le identifica con le città con più di 45.000 abitanti, non “metropolitane”, dotate di un centro amministrativo rilevante e di un polo di offerta di servizi basilari ed essenziali, nonché specializzati nel settore economico secondario o terziario, nonché capoluoghi di provincia. Abbiamo le 161 Città Medie di Mecenate 90: città con più di 25.000 abitanti, con un buon livello di servizi di base e/o un significativo indice di offerta turistica o centri di sistemi locali del lavoro con specializzazione manifatturiera. E abbiamo anche le 83 città Medie della Commissione Europea e dell’Ocse, le cosiddette Functional Urban Area (FUA), classificate a loro volta in piccole aree, aree medie e aree metropolitane, che circoscrivono la città e la sua zona di pendolarismo e rappresentano contesti urbani integrati, in cui i territori sono interconnessi da un punto di vista economico.
È ragionevole pensare che, almeno su scala europea, un’unica definizione non possa esistere per la difficoltà di individuare criteri e metodi tassonomici efficaci per le realtà urbane dovuta alla varietà (e diversa rilevanza) dei contesti territoriali, amministrativi e istituzionali dei sistemi urbani. Ma possiamo provare una tassonomia per le Città Medie nel nostro Paese, ed è comunque utile per i motivi suddetti che richiamano alla urgenza di ricercare maggiore efficienza, efficacia, economie di scala e di programmazione su una dimensione più vasta rispetto al Capoluogo ma inferiore alla Provincia che, nella quasi totalità dei casi, va a includere territori con caratteristiche molto diverse dal capoluogo e con flebili connessioni con lo stesso.
È da qui che muove lo studio promosso da ANCI, nell’ambito del progetto MediAree-Next Generation City, che tenta una prima risposta al problema della delimitazione territoriale e, per la prima volta, si appresta a perimetrare i territori delle Città Medie partendo dalle effettive connessioni socio-economiche dei luoghi; utilizzando, quindi, un approccio funzionale, con variabili e indicatori volti tutti a far emergere l’alta connessione che i comuni limitrofi possono avere rispetto al polo urbano-capoluogo, nonché centro di attrazione gravitazionale dell’area.
Dallo studio ne emerge una situazione molto variegata, con aree intorno ai Capoluoghi di provincia ben delineate e interconnesse (in Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia ), aree dove le interconnessioni sono molto meno forti (in Abruzzo, Molise e Sardegna), e aree dove è possibile notare l’esistenza di continuum urbani e funzionali che vanno oltre i confini dei territori provinciali come è il caso dell’area costiera romagnola compresa tra Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini e Pesaro.
Va detto però che l’analisi risente il limite della disponibilità di alcuni dati ritenuti rilevanti ma non disponibili a livello di banche dati nazionali. Lo sviluppo futuro di questo lavoro, e una maggiore accuratezza dei risultati, non può che passare dalle Amministrazioni Comunali e dai suoi Amministratori perché molte variabili possono essere solo il frutto di singole ricerche o di una fornitura proveniente direttamente dagli enti (come, ad esempio, quelle relative al TPL, al servizio idrico o dei rifiuti).
La collaborazione con le Amministrazioni risulta dunque imprescindibile per un dettaglio di analisi tale da rappresentare al meglio le realtà delle Città Medie ed è questo un obiettivo che MediAree si pone di raggiungere con un percorso successivo di approfondimento.