Oggi più che mai, in vista di una stagione straordinaria di investimenti e di interventi pubblici e privati da progettare, programmare e implementare sui territori, il Sistema Paese deve sostenere e promuovere il modello della Città Media, basato prevalentemente su politiche efficaci e innovative, sulla gestione condivisa di servizi e su azioni di miglioramento della qualità della vita in termini di sostenibilità e integrazione sociale.
Oggi più che mai, per rilanciare il nostro Paese verso un modello di sviluppo equo ed equilibrato di tutto il territorio (e a vantaggio di tutti!) bisogna fare squadra e mettere in campo a fattor comune risorse energie, potenziale, intelligenza e creatività. Non è possibile pensare a comuni di medie e piccole dimensioni come monadi volontariamente disconnesse dai propri capoluoghi e questi ultimi, a loro volta, che prendono decisioni strategiche senza un’efficace programmazione con i territori vicini. Nel primo caso le limitate risorse finanziarie e umane non permettono nel medio-lungo periodo una sostenibilità in termini di servizi e investimenti, mentre nel secondo caso vi sono una serie di crescenti esternalità negative, spesso causate dai cosiddetti City Users che comportano rilevanti problemi per il Capoluogo, nonché la necessità di una concertazione di area
Inoltre, come ben sappiamo, la riforma istituzionale e di riordino dei territori avviata nel 2014 a seguito della legge 56/2014, con l’intento di creare le condizioni per un miglior svolgimento delle funzioni di area vasta da parte delle amministrazioni locali, è rimasta sospesa. E in particolare è rimasta aperta la questione delle Province, che ha scaricato sulle spalle dei capoluoghi la responsabilità di compensare un vuoto istituzionale e un ruolo di leadership territoriale, ma senza alcun conferimento di competenze, strumenti di governance adeguati o risorse per svolgere tale ruolo. Aggravando, tra l’altro, la già onerosa condizione dei capoluoghi che sostengono con i propri esclusivi bilanci investimenti e funzioni di area vasta giustamente utilizzati dai cittadini talora di tutta la provincia (impianti sportivi, dai musei agli stadi, ecc.)
Senza eludere dalla consapevolezza che sia urgente un rafforzamento delle Province nella prospettiva che le descrive come “casa dei Comuni” in cui è da attendersi un legame sempre più stretto tra Provincia e Comune Capoluogo, è comunque necessario ricercare strumenti utili a delineare a livello di area vasta strategie e politiche che rendono potenzialmente degli ambiti urbani più ordinati, evitano lo sprawl urbano e migliorano l’inclusione sociale ed economica di intere zone e parti di popolazione.
Lo studio che qui si presenta va letto in questa prospettiva, con l’obiettivo di offrire ai Capoluoghi uno spunto di riflessione per rendere possibile il raccordo dell’area vasta attraverso lo strumento dell’Unione di Comuni. Uno strumento previsto e promosso dalla legislazione nazionale e che ha funzionato laddove interpretato quale forma di associazionismo per sfruttare le economie di scala e di dimensione che un ambito più vasto può creare, internalizzando le esternalità e ponendo in essere politiche di più ampio respiro per il territorio.
Lo studio mette sotto osservazione le Unioni di Comuni italiane più grandi prendendo in considerazione molte variabili raggruppate poi sotto i seguenti aspetti: demografico, territoriale, infrastrutturale, economico-produttivo e amministrativo, per cercare di comprendere se esse possono, ad oggi, rappresentare un punto di partenza per l’implementazione e la realizzazione di ambiti amministrativi di area vasta.
Le 11 Unioni selezionate sono quelle sopra i 100 mila abitanti e quelle con al loro interno un capoluogo di provincia: l’Unione dei Comuni della Romagna Forlivese (FC), il Circondario dell’Empolese Valdelsa (FI), il Nuovo Circondario Imolese (MO), l’Unione dei Comuni Nord-Est Torino (TO), l’Unione del Pian del Bruscolo (PU), l’Unione dei Comuni del Distretto Ceramico (MO), l’Unione della Valle del Savio (FC), l’Unione delle Terre d’Argine (MO), l’Unione del Miranese (VE), l’Unione dei Comuni della Bassa Romagna (RA) e l’Unione Montana Bellunese (BL). Solo quattro Unioni hanno al loro interno un Capoluogo di provincia, altre quattro sono inserite all’interno di Città metropolitane. Infine, solo due Unioni sulle undici totali non sono contermini con un Capoluogo di Provincia o di Regione. La loro dislocazione geografica riguarda il centro-nord e, più in dettaglio, cinque regioni: l’Emilia-Romagna, la Toscana, il Piemonte, le Marche e il Veneto. Ancora una premessa, e una nostra ferma convinzione, è d’obbligo: l’Unione non dovrebbe essere, come per molto tempo è stata percepita, come l’“n-esimo” ente cui delegare attività e funzioni da parte dei comuni associati, bensì una ‘casa comune’ attraverso cui razionalizzare e coordinare le azioni di tutti i comuni e, più in generale, del sistema amministrativo locale su un’area più vasta e inclusiva.